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Il viaggio alla ricerca

biodanza...di se stessi ha spesso origine da una ferita. Le ferite lasciano aperto un varco attraverso il quale entrare nel proprio mondo interiore, lanciano il richiamo alla necessità di partire alla scoperta, di andare a scavare sotto la superficie di una vita che a tratti si spoglia di significato,

smarrisce il suo senso. Il bisogno della ricerca di un senso è insito nella natura umana, l’interrogarsi sul significato della vita e di tutte le sue manifestazioni è una necessità imprescindibile. Forse le mie ferite hanno origine antica. Cerco da sempre, continuerò a farlo ma ora con modalità diverse. Prima, prima di conoscere la Biodanza intendo, la ricerca era solitaria e dolorosa: un vagare smarrito nel tentativo di trovare un indizio che giustificasse la mia presenza su questa terra, che attribuisse un senso all’esistenza. Un vagare lontano nell’intento di intravedere un bagliore oltre il mondo oggettivo, oltre le cose concrete, chissà dove, in un mondo ‘altro’. E al contempo un vagare circoscritto ad un universo interiore ripiegato su se stesso, un rifuggire la realtà, la moltitudine. Chiusura, troppa vana introspezione. Poi, grazie alla Biodanza, l’improvviso desiderio di vederci chiaro, di andare all’incontro del mondo, se pur con non rare incursioni nel rifugio offerto dall’introspezione. Giochi di equilibrismo tra l’immersione della babele che incalza dall’esterno e i meandri del nostri Ade privato: riuscire a essere contemporaneamente nel frastuono del mondo, che comunque ci appartiene e del quale non possiamo fare a meno, e nel mistero del nostro sottosuolo, dove ‘prima o poi dobbiamo calarci (…) se vogliamo ‘vivere’ sul serio e non ‘essere vissuti’ da qualcosa di alieno e inaffidabile’.
E poi la rivelazione, così semplice ma al contempo sorprendente, che il senso della vita è la vita stessa, e risiede in ogni istante che ci è permesso respirare su questa nostra terra, che la vita è sacra in tutte le sue manifestazioni, che siamo tutti e Tutto indissolubilmente legati

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